Dal 4 aprile è disponibile su tutte le piattaforme di streaming digitale il nuovo singolo di Chadia, Griselda. Un pezzo che, sulla carta, dovrebbe essere un inno alla forza ed all’indipendenza femminile ma che in realtà finisce per scadere nel mainstream. Il titolo Griselda si rifà a Griselda Blanco, la Madrina, famosa narcotrafficante attiva nel corso degli anni ‘70 e ‘80: una donna passata alla storia per la sua efferatezza e per essere stata una delle poche -se non l’unica- ad operare in un ambito prettamente maschile (#womeninmalefields).
Lo pseudofemminismo in Griselda
A giudicare dal titolo, quindi, il nuovo singolo di Chadia dovrebbe -e sottolineo, dovrebbe– esaltare l’indipendenza, il coraggio e la forza delle donne. In realtà, non è così. E’ la solita storia di sempre, purtroppo: intento nobilissimo, per carità, ma esecuzione pessima. Per inneggiare alla donna si potrebbero senza dubbio usare immagini di maggior spessore culturale rispetto alla femme fatale peligrosa e provocante nei suoi abiti succinti.
Ti aspetto nuda con i tacchi se mi tratti come merito, di me non ti sbarazzi come un debito.
Di certo il personaggio della donna mangiauomini trasuda autorevolezza e ben si inserisce nell’immaginario urban popolato da baddies e ragazzi di strada. Chadia, con la sua attitude carismatica e pungente, a tratti sfacciata, si ambienta perfettamente nella scena rap ma, per quanto riguarda i contenuti, lascia un po’ a desiderare.
Ma non siamo disfattisti: non tutto è da buttare. Non c’è dubbio che il pezzo sia orecchiabile e che al primo ascolto, gasi. E’ soltanto l’ennesimo pezzo orecchiabile in un mare di pezzi orecchiabili…
Esaltazione dell’emancipazione femminile: è proprio questo il modo giusto di farlo?
In un’Italia in cui i femminicidi stanno subendo un’impennata preoccupante ed in cui l’educazione affettiva è inesistente, scegliere di delineare in questo modo la donna è controproducente. Si sottovaluta troppo l’importanza che la musica riveste nella nostra società: plasma la mente, scolpisce concetti e contribuisce a rafforzare convinzioni più o meno radicate nella nostra cultura. Forse anche l’immagine di una donna provocante, che “si veste da film porno” e offre il proprio corpo come ricompensa all’uomo che la tratta “come merita”, rischia di rafforzare una mentalità tossica — e potenzialmente pericolosa ancora diffusa fra alcuni uomini maschi.
Da una donna rivolta alle donne ci si aspetta, se non altro, qualcosa di più: quantomeno che una canzone nata per essere canticchiata per gioco sotto la doccia non venga presentata come un inno alla forza e all’indipendenza femminile.