Perché ci manca così tanto il Festivalbar?

da | Lug 24, 2024 | News

Perché ci manca così tanto il Festivalbar? Questione di nostalgia e voglia di vivere emozioni vere, ascoltando musica autentica.

Vi sarà sicuramente capitato negli ultimi anni di adocchiare qualche meme sul ritorno del Festivalbar: evento nato nel 1964 da un’idea di Vittorio Salvetti.
Una manifestazione musicale che ancora oggi incarna l’essenza italiana: l’estetica popolare ricca e decadente al contempo del paese a forma di stivale.
Il Festivalbar divenne un fenomeno cult tra gli anni ’90 e 2000 grazie a personaggi che ancora oggi sono negli annali della storia televisiva italiana: Amadeus, Claudio Cecchetto, Fiorello, Federica Panicucci.
Un fatto esplicitamente “italiano”, presentato in location iconiche: Lignano Sabbiadoro, Piazza del Plebiscito a Napoli, con il gran finale all’Arena di Verona.
Il Festivalbar preannunciava l’estate e con essa tutte le cose belle che racchiudono il significato della vita.
Le cene all’aperto, il riunirsi nelle case la sera perché la scuola era finita, l’aria che profumava di sole, il frinire delle cicale. Non c’erano pensieri ad attanagliare le coscienze – o meglio, c’erano ma la leggerezza che aleggiava sovrastava il resto.

E quindi perché ci manca così tanto questo Festivalbar?

È semplice. Questione di nostalgia: il sentimento che vende più di ogni altro al mondo per la sua purezza.

Ho provato a chiederlo anche alla mia mamma, proveniente da un’altra generazione, e mi ha risposto che ciò che più manca del Festivalbar è probabilmente il contesto storico.
Ciò che manca del Festivalbar è la magia del desiderio, la gioia di evadere.
Internet non era ancora di diffusione popolare, quindi a scorrere nelle vene degli ascoltatori c’erano soltanto il desiderio e la foga dell’attesa. Il condividere l’esperienza in piazza, il conoscere persone nuove, l’attesa dell’artista preferito. Il Festivalbar era un momento di scambio che andava al di là dell’evento stesso. Rappresentava la voglia di vivere, gli amori estivi ed i primi appuntamenti accompagnati dalla musica del jukebox.
Il tutto immerso in un contesto storico in cui le connessioni umane venivano prima di quelle telefoniche e digitali.

Spesso mi capita di chiedermi come mai ad oggi sentiamo la necessità di affondare nuovamente le radici in quell’humus italiano che ci sembra così distante dalla società odierna. È semplice ed è tutto racchiuso proprio qui: abbiamo bisogno di tornare a quella spensieratezza e a quella purezza che ad oggi non esistono più. La televisione è diventata figlia di censure e di programmi a neuroni zero. Nuovi format che sono gli stessi riproposti in “font diversi”,  più pubblicità che durata effettiva di programma e così via. La monetizzazione, la commercializzazione dei programmi e l’inclusione dei social all’interno delle dinamiche televisive hanno reso difficile la creazione di un gancio umano tra lo spettatore ed il programma in sé.
Il Festivalbar era LA televisione e ci manca perché era autentico, perché erano emozioni: vivide, grezze, reali.

Ruolo decisivo lo giocava anche la qualità della musica.
Le line-up erano vastissime ed includevano artisti di grande calibro.
Dagli ZeroAssoluto a Giuliano Sangiorgi, passando per Biagio Antonacci, Eros Ramazzotti e Vasco Rossi, arrivando ad artisti di caratura internazionale come Bon Jovi, Sting, Robbie Williams e Santana. Ogni esibizione del Festivalbar era un’esperienza a sé; un momento di pura e vera musica che riusciva a connettere gli spettatori in modo autentico, seppur molti fossero dietro una televisione. Non c’erano sovrastrutture, né filtri commerciali o esagerate operazioni di marketing: pura musica, presentata in maniera genuina.

Oggi il Festivalbar, anche se teoricamente pronto per un ritorno, difficilmente potrebbe offrire la stessa emozione di un tempo. Il mondo è cambiato, così come la musica ed il modo in cui fruiamo della stessa. Quello che è cambiato è anche il modo di vivere questo tipo di eventi, così come il valore sentimentale che si dava alla TV come mezzo di comunicazione di massa.
Sì, la nostalgia per il Festivalbar è tanta. Non per la manifestazione musicale in sé ma per tutti gli ideali di cui era il manifesto. Oltre ad essere un momento di aggregazione, era anche un momento di apprendimento – c’era più propensione ad imparare con gioia e a scoprire qualcosa di nuovo con rinnovato interesse rispetto al mondo odierno in cui siamo costantemente bombardati da informazioni e notizie con i nuovi media e tutto ci sembra ripetitivo.

Se da un lato il desiderio di rivivere quell’epoca è forte, dall’altro la realtà odierna presenta molte sfide. Tuttavia, il Festivalbar rimane un simbolo indelebile della cultura italiana, un ricordo prezioso che continua a vivere nella memoria di chi ha avuto la fortuna di viverlo e si tramanderà (ancora) di generazione in generazione.

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