Gnut, il Fuori Salotto, una boccata di leggerezza a Milano

da | Apr 19, 2024 | #Cromosomiintour, Interviste

Non sempre la musica si ascolta soltanto. A volte si riesce a respirarla.

Nei giorni del Fuorisalone, della Milano Design Week, della frenesia e della corsa da un evento all’altro, il Fuori Salotto ci regala una serata di ascolto e di vita lenta.

Stavolta la location è un pochino più grande del salotto di Lelio e Samira, ma l’atmosfera che si respira non va molto lontano da ciò a cui il Fuori Salotto ci ha abituato.

Lelio, stai riuscendo a mantenere il mood di Fuori Salotto inalterato anche con eventi un po’ più grandi, location e modalità differenti. Qual è il segreto? Qual è il filo logico?

Proviamo a mantenere fede all’obiettivo di partenza, ovvero quello di creare momenti di valore emotivo e culturale ogni dove si creano i presupposti . L’equilibrio nato in casa ha lasciato identificare una visione, quella di creare vicinanza tra pubblico e artista, ritrovare un ambiente appassionato alla canzone contemporanea per il fine di un ascolto autentico ed il confronto. In ogni città o venue nuova facciamo esperimenti e mi auguro possa arrivare sempre l’integrità del progetto.

Oggi ti senti più un artista o un direttore artistico? Quali sono le cose che ti piacciono di più e di meno dei due ruoli?

Mi è sempre piaciuto pensare che un artista è tale se definito così dagli altri, quindi non mi sono mai sentito altro che uno che è finito sotto un treno di canzoni. Al momento sono fermo con le pubblicazioni e i live. Preferisco non mettermi in prima linea se sono in veste organizzativa a meno che non mi venga richiesto, cosa che ho accettato con piacere quando è capitato (ad esempio di recente a Palermo e Messina con Anna Castiglia). Non nego che in questi casi arrivi sul palco con troppe agitazioni, fili da mantenere fino al secondo prima di suonare, non è troppo sano e non te la godi fino in fondo. È un equilibrio nuovo e anche delicato, provo a trattare il tutto con valore e sono felice dei passi che muove Fuori Salotto. Ne amo il benessere che vedo nascere tra il pubblico e gli artisti che ci danno fiducia. A volte mi sembra di rischiare di schiantarmi contro un muro: la mole di possibilità e responsabilità cresce, mi satura, ma al contempo mi onora. Svegliarsi con troppe cose concrete per la testa non giova alla scrittura, ma credo sia un periodo. Osservo, sbaglio, conosco e questo mi porterà a scrivere anche di qualcosa di nuovo. Se vado in studio e ci mettiamo a scrivere una canzone, la portiamo a casa ed è pure buona, ma sono devoto a quando è una canzone nuova che viene a prenderti. 

Ad ospitare il cantautorato di Gnut è la Sala Grenorianum, un cinema che resiste al corso del tempo imponendosi di fermarlo e riuscendoci piuttosto bene. È uno di quei luoghi che sembra seguire delle logiche tutte sue, difficili da definire ma che ne disegnano addosso un indubbio fascino.

La serata inizia con la musica di Lorenzo e Agnese dei loredt, progetto che nasce nelle case di ringhiera milanesi e nelle parole scritte da Lorenzo. La loro musica è dolcissima, di quelle che fanno stare bene, che ti ricordano che oltre alla semplicità non serve nulla.

Una canzone tanto carina

Quando sul palco sale Gnut, rimango onestamente a bocca aperta. Ho visto dal vivo tanti cantautori bravissimi e, in tutta onestà, non pensavo di poter rimanere così colpito ancora una volta da una voce accompagnata da una chitarra. Forse sarà la sua apparente semplicità che rende il cantautorato così eterno, così immortale; o forse sarà il fatto che parla sempre dei lati che meglio raccontano gli esseri umani, chissà.

Quello che so per certo è che Gnut ha una capacità espressiva inaudita e un’abilità con la chitarra che ho sentito poche volte. Io non sono napoletano, tante espressioni le perdo durante l’ascolto, però le canzoni di Gnut arrivano, eccome se arrivano. Non so che strada prendono, ma riescono a toccare corde che non si smuovono tutti i giorni.

Gnut, senti di avere la stessa capacità espressiva sia quando canti in italiano che quando canti in napoletano? Come scegli se usare un linguaggio o un altro?

In realtà sono due approcci diversi, un po’ come suonare la chitarra o il pianoforte. Il napoletano è molto più musicale, vicina all’inglese per le sue parole tronche. Io trovo sia perfetta per i testi d’amore: in napoletano non esiste il verbo “amare”. Chi scrive testi è costretto a inventarsi qualcosa per descrivere questo sentimento, qualcosa di poetico. Mi diverte molto cantare in napoletano. In italiano è più complicato e proprio per questo mi affascina di più cercare di far suonare bene una lingua che si presta un po’ meno alla musicalità. Ascoltando molta musica in inglese, anche questa è una sfida che mi diverte tantissimo.

Gnut è anche simpatico. E intendo davvero tanto simpatico e divertente: parla molto, racconta aneddoti; potrebbe forse prendere un giorno la piega di Ghemon, con i suoi spettacoli un po’ musicali, un po’ teatrali, un po’ comici. Ecco, andare ad un concerto di Gnut significa emozionarsi più o meno come quando si ascolta Nick Drake e ridere almeno il doppio che ad uno spettacolo di Luca Ravenna.

Qual è la tua dimensione live preferita da spettatore? Qual è il concerto più bello a cui hai assistito?

Mi piacciono tanto i concerti “da ascolto”, dove posso godermi tutto il talento di chi vado ad ascoltare. Mi piaceva anche andare a pogare, d’altronde sono cresciuto negli anni ‘90 del grunge, ma invecchiando ho iniziato ad apprezzare di più i concerti in cui sto seduto, comodo e mi godo chi suona. Il concerto più bello è stato quello degli Oregon, in un minuscolo club di Napoli che non esiste più, si chiamava Hot Jazz. Eravamo in 20 ad ascoltare questi 5 vecchietti che suonavano in maniera strepitosa. Penso sia il concerto più bello insieme a quello dei Radiohead all’Arena di Verona nel 2001 nel tour di Kid A, che è stato meraviglioso.

Il pezzo più famoso
Il mio pezzo preferito
Il pezzo che non può non piacerti

Nella Milano Design Week, non potevo non farvi una domanda su Milano; da “fuori sede”, qual è il vostro rapporto con questa città? Cosa vi dà e cosa vi toglie?

Gnut:

Ci ho vissuto 7 anni, dal 2006 al 2013. Mi sono divertito tantissimo, è una città molto stimolante. Ogni città alla fine ha il fascino delle persone che hai la fortuna di incontrare in quel posto: a Milano ho incontrato persone che amo follemente e che sono diventate importanti nella mia vita. Ci torno con piacere ed è la seconda città d’Italia che sento come casa. Ha un’energia meravigliosa anche se scura; anche Napoli ha questo lato di energia scura, nonostante la distanza ci trovo qualche affinità che di solito nessuno trova. Milano è una città che amo tantissimo, sono di carattere nordico.

Lelio:

Milano rischia di cambiarti e te ne rendi conto quando ti ci allontani un attimo .

È una città che va veloce, è terra di nessuno ma tutti ci vogliono stare, sono ancora qua anche se costa come New York. Milano può farti perdere le sfumature, e da devoti pure a Sorrentino sappiamo che le sfumature sono tutto. Però è in reazione a questo caos che è nata l’esigenza di un’idea più umana, vita lenta docet.

Quando volete un momento di respiro e vita lenta vera, sapete dove cercare. Al prossimo Fuori Salotto.

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