Maya è l’album di Mace uscito questa notte. Un’opera musicale attesa come poche, una chiamata alle armi necessaria. Mace, come sempre, ha riunito un’intera scena musicale sotto i suoi marchi distintivi.
Mace non è una comparsa ma una comparsa celestiale in Maya.
Questo è il primo punto fondamentale da trattare. L’album contiene un numero elevatissimo di artisti di assoluto livello eppure è evidente che Mace non sia il contorno ma il protagonista vero. Le produzioni sono veramente centrali, soprattutto perché l’album è un continuo fluire in un mondo meditato, pensato, anche se ogni pezzo ha la sua natura e autonomia. Qui si riconferma la grande abilità di Mace nell’essere un hit-maker, anzi un vero e proprio chimico musicale che estrae il meglio da ogni artista. Sarebbe stato facile sopperire nella varietà della rosa di artisti come Marco Mengoni, Gemitaiz, Coez, Frah Quintale, Fabri Fibra e tanti altri, ma non è successo, così come non è accaduto che sia netta una prevalenza della figura di Mace. C’è un atteggiamento di equivalenza tra tutte le anime e le componenti dell’album e il merito deve andare per forza al producer/artista.
Maya come scansione di un viaggio.
Se c’è un segno identificativo nell’album è una certa unità organica, nonostante un’indipendenza apparente già citata, che crea un’atmosfera unica. Tutti i brani sono stazioni di un viaggio, un racconto che passa per la musica cruda, viva e soprattutto per un esercizio di costruzione e abbinamento tra i generi unico in Italia. Le tappe di Maya non attendono l’ascoltatore, è come se lo trasportassero verso una dimensione altra, forse elevata al di sopra di una musica piatta creando una discontinuità rispetto al resto. Raccontare i brani di Maya sarebbe superfluo per una ragione banale ma fondamentale: è impossibile narrare canzoni che, inserite in un insieme, costituiscono un edificio totale della musica italiana.
Mace è talmente accurato nella creazione che dà una perfetta combinazione non solo nelle melodie o nella mescolanza degli artisti nei singoli brani ma anche tra pezzi diversi.
Ciò viene reso nelle riprese musicali comuni tra i diversi pezzi in maniera perfetta. E allora bisogna parlare di un pensatore della musica, di un filosofo che attraversa un nuovo atteggiamento, un nuovo pensiero musicale e che pone al centro la propria figura in relazione con gli altri. Una rete, insomma, che trattiene i timori attraverso il coraggio inaudito di portare il nuovo con strumenti già usati. Gli utensili di Mace non sono solo gli artisti ma gli ascoltatori stessi che sono all’interno del brano come chi prende parte al brano e come egli stesso. Un viaggio emozionale, una certezza artistica, uno squarcio nella musica italiana che dà valore comune e in cui gli astanti non sono pubblico da rifocillare ma attori di valore.