Cheerleader, il nuovo pilastro dei club di Boro e MamboLosco

da | Dic 7, 2023 | Recensioni singoli

Venerdì è stato un giorno di grandi ritorni musicali. Tra questi Cheerleader il nuovo singolo di Boro in collaborazione con il rapper MamboLosco, prodotto da Andry The Hitmaker, per Emi Records / Universal Music Italia. A seguito dei successi di Lento, Twerk e dell’album Caldo, i due artisti tornano a farci ballare con Cheerleader: una […]

Venerdì è stato un giorno di grandi ritorni musicali. Tra questi Cheerleader il nuovo singolo di Boro in collaborazione con il rapper MamboLosco, prodotto da Andry The Hitmaker, per Emi Records / Universal Music Italia.

A seguito dei successi di Lento, Twerk e dell’album Caldo, i due artisti tornano a farci ballare con Cheerleader: una commistione tra mondo urban e raggaeton ed un ritornello in grado di entrare in testa già a partire dal primo ascolto.

Cheerleader è dotata di una grande sonorità che la farà certamente diventare la nuova hit dei club, ma ha un problema a livello di contenuto. Nonostante la sua destinazione al divertimento leggero del sabato sera, una riflessione su quest’ultimo punto è di fondamentale importanza.

Il linguaggio del rap/hip hop/trap non è il problema, ma va pesato anche considerando l’altra metà della medaglia: chi ne usufruisce. Di questa ultima parte si riconoscono due metà: chi riesce a scindere tra ottima sonorità del pezzo e livello di contenuto che non rispecchia la realtà e chi, invece, rafforza i suoi preconcetti misogini e si sente legittimato a fare del brano musicale una sorta di modello d’esperienza.

In Cheerleader il richiamo al sessismo è chiaro: la donna è dipinta come priva di propria volontà, desiderio e determinazione. Un oggetto immobile atto solo a soddisfare i piaceri del sesso opposto.

Dall’altra parte il sesso maschile è colui che la guarda da un gradino più in alto, cullandosi nell’idea di essere l’unico e solo obiettivo di lei.

E per me viene se la chiamo, ma per te ha sempre una scusa
Sembra una stripper di Atlanta, è una felina, fa le fusa
Nel locale guarda me, non ha occhi per nessuno

La donna in questione è talmente poco considerata, da non ricordare nemmeno il suo nome. Il nome, parte dell’identità, viene eliminato e la donna torna ad essere oggetto. Una sorta di giocattolo simile a tanti altri che ha avuto la sola fortuna di essere scelta. Scelta della quale lei non è mai l’agente, ma sempre il passivo.

E twerka sopra i miei Amiri jeans finché fumo una shisha
Non mi ricordo il suo nome, forse Jennie o Felicia

Non semplice eliminazione del nome, in Cheerleader le donne sono ridotte ad una coppia di parole onomatopeiche, “ciaf” e “clap”.

Con le mani fanno “ciaf, ciaf” come una cheerleader
Con le chiappe fanno “clap, clap”, dolci come ribes

L’utilizzo esplicito della parola troia, l’azione di lui contrapposta alla passività di lei. Il richiamo a “sugo” non solo per far riferimento al collettivo a cui MamboLosco appartiene, ma chiaramente anche ad altro.

E dice che le piace Losco, vuole assaggiare il sugo

Il linguaggio del rap/hip hop/trap non è la causa della violenza, ma può contribuire alla costruzione dell’immaginario su cui essa si fonda.

Piuttosto che creare l’ennesimo brano irriverente e ironico che quasi nulla di nuovo aggiunge al panorama musicale, non si potrebbe giocare su altro?

Con un’attenzione maggiore al contenuto, non si potrebbe offrire un brano che oltre a far muovere i culi, riesca anche a scuotere gli animi?

Considerando il seguito che hanno gli artisti e i problemi che persistono nella nostra società, il linguaggio del rap/hip hop/trap non potrebbe diventare anche uno strumento di riflessione e cambiamento?

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