Motta: “L’album “La musica è finita” mi è servito per ripartire”

da | Nov 2, 2023 | Interviste

La musica (non) è finita, anzi. Dopo quattro album, Motta torna con un titolo netto che lui stesso definisce tale: “Volevo mettere un punto su ciò che avevo fatto negli scorsi anni per poter davvero ripartire“, ci dice. E noi ascoltiamo volentieri il suo ritorno, tra domande sull’ultimo progetto e quella luna che (lo) rincorre ogni notte.

Ciao Francesco, benvenuto su Cromosomi. Quali sensazioni prevalgono a pochi giorni dall’uscita dell’ultimo disco, La musica è finita, e dalla data zero al Cage Theatre di Livorno?

Ciao, sto bene. A Livorno è stato assurdo perché le persone avevano pochissimo tempo per ascoltare l’album, ma nonostante ciò ho la fortuna di avere un pubblico molto curioso, che ascolta davvero. A parte il momento in cui abbiamo suonato le canzoni vecchie, il momento più significativo è stato proprio quando abbiamo portato sul palco le canzoni di questo disco. Mi chiedi com’è stato? È stato intenso, è stato diverso rispetto ai live che ho fatto precedentemente, complice anche la nuova band.

A questo proposito sul palco con te anche Whitemary (synth, elettronica), il cui contributo ha dato un notevole valore aggiunto alla dimensione live. Com’è nata questa collaborazione?

Mi piace tantissimo ciò che fa Whitemary. In questo momento della mia vita ho proprio voglia di mettere l’acceleratore su tante cose e ho capito finalmente che ci sono persone che possono aiutarmi a spingere su determinate sonorità che da solo non riuscirei a raggiungere. Lei era perfetta, anche per far emergere l’aspetto elettronico presente nel disco. Durante i live degli ultimi anni ci abbiamo sempre un po’ provato, ma non ci siamo mai riusciti come con lei, che ha dato un contributo notevole anche con i cori, una sensazione meravigliosa.

Diciamoci la verità, Motta: la musica non è finita, c’è molta musica sia nell’album che nel live. Com’è nato questo progetto, con un titolo così netto e divisivo?

Volevo mettere un punto su ciò che avevo fatto prima per poter ripartire: da quando ho trovato il mio posto nel mondo grazie alla musica, ho capito che era proprio quello ciò che mi faceva respirare. Ho scelto questo titolo anche perché negli ultimi anni non sono mai stato così tanto in studio a fare musica come in questo periodo. Arrivare al limite, al punto di dire che una certa concezione della musica che avevo era finita mi è servito proprio per ripartire. Anche nel live ci sono molte parti strumentali, il che non è una novità, ma stavolta abbiamo voluto dare ancora più risalto alla musica. Poi, la concezione del mio live è come se fossimo una band. Cioè, siamo una band. Io vengo da una band (The Criminal Jokers, ndr), e so che quando montiamo sul palco in cinque non ci sono assolutamente gerarchie.

Il concetto di band si nota, proprio per quanto spazio offri ai tuoi musicisti, tra quelli storici come Giorgio Maria Condemi (chitarre) e Francesco Chimenti (basso e cello) e i nuovi ingressi, Davide Savarese (batteria) e Whitemary (synth ed elettronica).

Beh, è anche un modo per cercare non solo di darsi una mano a vicenda, ma di cercare di far meglio: quando hai musicisti molto bravi accanto è sempre un ottimo modo per migliorarsi, e questa dinamica avviene per tutti noi che siamo sul palco. C’è un grande rispetto per ciò che fanno gli altri, è una squadra, è come se sul palco avvenisse un matrimonio a cinque.

A proposito proprio di farsi aiutare e di darsi una mano a vicenda, in questo album per la prima volta nella discografia di Motta compaiono dei featuring. Negli anni ci sono state collaborazioni con altri artisti, ma mai inserite nei tuoi album (a eccezione di Qualcosa di normale con tua sorella Alice Motta). Cosa ti ha fatto prendere la decisione di fare dei featuring in questa occasione? E perché la scelta di questi nomi, talvolta così distanti tra loro?

Alcuni erano amici, altri erano persone che avrei voluto lo diventassero. Ero in una sorta di gabbia fino a qualche tempo fa: sono una persona che se vede che tutti vanno in una certa direzione, io vado nel senso opposto. Mi sono accorto però che anche questa era una costrizione e ho pensato che in realtà dipendeva dall’artista con cui avrei collaborato. In questo disco, tutti i featuring sono nati a quattro mani, a eccezione di Alice, con Giovanni Truppi. Il suo contributo è arrivato una volta terminata la canzone, ci conosciamo da una vita e mi serviva un suo approccio, volevo una sua visione del brano. Tutto il resto è avvenuto in studio, con la consapevolezza di dire “siamo in studio, proviamoci, coscienti che a fine giornata potrebbe anche non venir fuori niente”. E invece proprio questa libertà mi ha portato a scrivere brani insieme a Jeremiah Fraites nel suo studio, con Ginevra, dopo aver visto la sua esibizione al 1° Maggio lo scorso anno, così con Willie Peyote. Sono tutte collaborazioni nate con grande fiducia e grande libertà.

Hai menzionato primo tra tutti Giovanni Truppi, che con il suo contributo esterno, ma molto più interno di quanto non si creda, in Alice ha dato l’impressione di essere quasi uno di famiglia. Come credi sia riuscito ad avvicinarsi così tanto alla vostra intimità? Ah e… una curiosità, lo scambio di mail con tua madre è accaduto realmente?

Giovanni l’ho conosciuto anni fa suonando la chitarra e la tastiera durante i suoi live, siamo amici e ci vogliamo bene. Conosce i miei genitori e mia sorella Alice, così ho aperto la porta per farlo entrare in un discorso molto importante che riguarda la mia famiglia, proprio perché già le conosceva. Ovviamente quando mia mamma ha sentito il suo punto di vista particolarmente introspettivo e preciso, ha voluto scrivere una mail per ringraziarlo e Giovanni le ha risposto. Detto questo non vi posso spoilerare lo scambio di mail (ride, ndr).

Rimanendo sui featuring, in Scusa con Jeremiah Fraites che citavi poco fa, torna l’immagine della Luna, così presente e ricorrente nella tua discografia. Penso a C’è un sole perfetto, ma lei vuole la Luna, La Luna che ci insegue in fondo alla salita e oggi a Andiamocene a cena sulla luna. Che tipo di influenza ha su di te questo elemento astrale?

Ho parlato molto più della luna che del sole, mettiamola così! Me lo stai facendo notare tu per la prima volta, probabilmente è simbolo di un certo tipo di femminilità, no? In questo disco ci sono molte metafore, la luna spesso rappresenta un mistero molto interessante e intrigante. Sono sempre stato molto affascinato anche dalla notte, quindi le due cose sono collegate. Ho suonato anche tanti anni con Nada e una delle sue canzoni è tra le più belle della discografia italiana secondo me, Luna in piena. Probabilmente anche questo ha influito. Non ci avevo mai pensato che effettivamente ricorresse così tanto nella mia musica.

Sono giorni ricchi di interviste, ho letto che prima del live avevi qualche pensiero sull’esibizione dal vivo di Quello che ancora non c’è. Dopo il primo concerto a Livorno, come hai vissuto questa canzone?

Penso che per me sia stato uno dei momenti più alti del concerto, non so se sia arrivato al pubblico, ma è stato potente ed emozionante. Ci sono sempre alcuni brani a cui sono più affezionato, a prescindere dal fatto che mi piacciano o meno. Un esempio è Mi parli di te. Sono brani in cui c’è talmente tanta verità che l’idea di sentirsi così nudo sul palco fa un po’ paura. Quello che ancora non c’è è uno di quei pezzi, oltre a forse altri due o tre nella mia discografia.

In fondo alla tracklist di La musica è finita c’è una bonus track, che spesso è una traccia sottovalutata, ma in questo caso a mio avviso in Per Sempre è riassunto il senso dell’album. Io non riesco ad essere quello che non sono più. Chi è oggi Motta e in cosa si è evoluta la sua musica dopo questo ultimo album?

Sono una persona che guarda indietro ai quattro dischi pubblicati sorridendo. Sono felice di ciò che ho fatto. Da una parte c’è un senso di accettazione delle mie fragilità, dall’altra più vado avanti, più capisco che amo la curiosità. Più sai e più hai voglia di sapere quello che non sai. È un parallelismo con il viaggio, più viaggio e più avrei voglia di viaggiare. È un momento bello per la mia vita, sono proprio nel mezzo del cammino – per citare qualcuno – in una fase in cui c’è un sorriso guardando indietro, ma anche una voglia matta di guardare avanti.

È interessante questa prospettiva, soprattutto se pensiamo che anni fa raccontavi La fine dei vent’anni con un alone di malinconia e un velato timore per il futuro, con tutt’altro spirito.

Paradossalmente ero più nostalgico quando avevo meno ricordi. Non so per quale assurdo motivo.

Concluderei spendendo due parole su quanto sta accadendo nel mondo, Motta. Gino Strada diceva Io non sono pacifista. Io sono contro la guerra. Ai tuoi concerti hai scelto di coinvolgere Emergency, cosa pensi di ciò che sta succedendo?

Sto vedendo delle immagini scioccanti. Ovviamente quando si parla di guerra c’è bisogno sempre di stare dalla parte dei civili, dei bambini, delle donne. Il fatto che l’Italia in questi giorni si sia astenuta nella votazione è sintomo di una cosa gravissima. Come tante cose gravissime che sta facendo questo governo, che non mi rappresenta in nessun modo. Detto ciò, è un onore per me portare in tour i ragazzi di Emergency. Se anche solo una persona che viene ai concerti si ferma per informarsi su ciò che stanno portando avanti da anni, mi fa rendere conto che anche in una piccola parte posso contribuire. Sono felice di farlo.

Adesso basta sangue
Ma non vedi?
Non stiamo nemmeno più in piedi
Un po’ di pietà

Lucio DallaHenna

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