Abbiamo fatto una chiacchierata con Fiat131 post live all’Auditorium Parco della Musica di Roma

da | Ott 9, 2023 | Interviste

Quello che è successo il 7 ottobre all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone di Roma è difficile spiegarlo a parole. Più che a un concerto (di altissimo livello), ci è sembrato di assistere a una reunion tra vecchi amici, quelli storici, quelli veri.Post live abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con Alfredo, con […]

Quello che è successo il 7 ottobre all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone di Roma è difficile spiegarlo a parole. Più che a un concerto (di altissimo livello), ci è sembrato di assistere a una reunion tra vecchi amici, quelli storici, quelli veri.
Post live abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con Alfredo, con il quale abbiamo ripercorso i momenti salienti della serata.

Ciao Alfredo! Nell’intro prima della tua entrata sul palco hai descritto perfettamente cosa c’è dietro il significato del tuo nome d’arte: Fiat131. Vogliamo spiegarlo per chi non era presente?

Assolutamente sì, Fiat 131 era la macchina di mio nonno. Ricordo mia madre, mio padre e mio nonno che la guidavano, ricordi sfasati di un me bambino che cantava e ascoltava le canzoni di Lucio Dalla, Pino Daniele, tutto quello che ascoltavano i miei genitori fondamentalmente. Ricordo di quando, da bambino, urlavo “Disperato Erotico Stomp” dal finestrino. Negli anni, di quella macchina, in realtà, non se ne voleva disfare nessuno: era diventata iconica, ce l’avevano da tanti anni ormai. È rimasta nel garage che era un po’ appartato da casa e io e i miei tre cugini ci portavamo le fidanzatine per le prime coccole. Visto che io scrivo sempre canzoni tristissime su quelle che sono le mie storie d’amore e non solo, era giusto che io trovassi un nome che rappresentasse dov’è nata la mia passione per la musica e di conseguenza le mie prime relazioni.

Questa sera tanti artisti (amici direi) coinvolti sul palco dell’Auditorium. Quanto è importante circondarti di persone a cui vuoi bene in queste occasioni?

È fondamentale! Io cerco sempre l’energia giusta, sono molto attratto dall’empatia delle persone e sul palco con me sono felice che ci siano state delle persone che energeticamente mi aiutano. Persone con le quali io lavoro ogni giorno a Isola degli artisti ed effettivamente era una grande festa, un po’ come se fosse il mio compleanno. È difficile che in questo lavoro i tuoi veri amici possano diventare i tuoi colleghi, sono molto felice di questo.

Parliamo dei tuoi musicisti double face, come li hai definiti tu. Quanto la band conta sulla riuscita dei tuoi live?

È importantissimo, per l’alchimia che si crea tra i musicisti e in questo caso me! Io ho la fortuna di avere a fianco quattro amici che conosco da tanto tempo, da prima che io facessi Sanremo. Loro abitano qui a Roma e dopo Sanremo abbiamo deciso di dar vita a questo progetto e portarlo in giro. Penso di non volere altre persone se non loro vicino a me perché c’è una bella chimica, anche con uno sguardo ci capiamo e questo è fondamentale.

A noi è piaciuto molto il fatto che, nel momento in cui sei partito con l’acustico, i musicisti sono entrati scaglionati, uno alla volta.

Quello in realtà è stato un consiglio del mio produttore Carlo, che ha visto lo show durante l’allestimento e ci ha detto “Non entrate tutti insieme, in modo tale che ricreiamo dal vuoto il riempimento sul palco. È stato molto bello, infatti!”

Hai toccato temi importanti, come la violenza sulle donne con Diamante, una tua conterranea. La musica può davvero fare la differenza se usata come veicolo per divulgare messaggi così forti?

La musica È un veicolo. Ci sono delle persone che inconsciamente ascoltano delle canzoni che hanno all’interno di esse un messaggio e che paradossalmente ti possono cambiare la giornata e anche la visione su tante altre cose. Io cerco sempre di farlo. Nelle mie canzoni troverai moltissimo rancore verso le mie relazioni passate, ma anche un senso di perdono verso di me, perché ovviamente quando ci si lascia la colpa è di entrambi, trovo sempre il modo per raccontare la sensazione senza additare qualcuno. Quando si parla di violenza sulle donne è importante che l’ascoltatore possa percepire che effettivamente determinate cose non si devono fare. Io ho voluto ospitare Noemi in questa serata perché è molto vicina a questi argomenti, si batte. A parte il fatto che è una cantautrice stupenda, ma rappresenta parte della mia famiglia, essendo Cosentina come me, siamo cresciuti insieme, ci siamo trasferiti insieme qui. Attraverso le sue canzoni riesce ogni volta a insegnarmi qualcosa di nuovo. È questo quello che auguro a tutti: ascoltare canzoni a cuore aperto, in modo tale da captare ogni messaggio che c’è all’interno facendolo proprio.

Secondo te generi come la trap hanno influito negativamente?

No. Non penso che la trap abbia influito. La violenza c’è sempre stata. Non ascolto quel genere musicale perché non mi rappresenta nel linguaggio. Io amo la donna, nei miei testi viene raffigurata come pura, ma non perché donna, ma in quanto persona che ha un’anima. Sicuramente la trap tratta temi un po’ particolari, ma la violenza è nell’indole dell’uomo.

Omaggio a Lucio Dalla. Perché?

I miei genitori mi hanno cresciuto con due standard musicali diversi. Da un lato mia madre super fan di Barry White, Mariah Carey, Stevie Wonder, dall’altro mio padre con Franco Battiato, Fossati, Branduardi. Io sono cresciuto con Lucio Dalla, con Branduardi e con Mariah Carey, ma lo reputo un connubio perfetto in realtà. Però Lucio Dalla è quello che, crescendo, ho apprezzato di più, non solo per la sua vocalità. Io lo dico sempre: “Che ognuno viva la sua religione, io ho il mio Dio e si chiama Lucio!”. Mi ha insegnato, come dicevo prima sul palco, quanto bisogna essere veri, sinceri e geniali. Uno che scrive “Vorrei essere il motore della tua macchina così di colpo mi accenderai” o “ti incontro per strada e divento triste perché poi penso che te ne vai”, qui stiamo sfiorando la genialità nella semplicità più totale e io oggi se canto, se scrivo, se ho un mio modo di esprimermi, è per merito suo.

È proprio da Lucio descrivere delle storie di vita, capaci di farci immergere come se le stessimo vivendo nell’attimo in cui ascoltiamo una sua canzone, infatti…

Esatto, questo è “linguaggio per immagine”. Mentre Antonello (Venditti) è un eterno romantico nel linguaggio, Dalla no. Lucio era quello che diceva “vorrei essere l’hamburger di sabato sera che mangerai” che un po’ rappresenta l’indie di oggi. Se pensiamo ai giovani artisti indie di oggi, come Galeffi, Fulminacci, Gazzelle, praticamente tutti, secondo me sono figli di quella musica lì. Dalla aveva questo modo di narrare personale, privato, come se stesse raccontando un “fattarello” – come dicono a Cosenza – al bar con gli amici. Ascolto tantissima musica ma quando si ricercano i testi – bello, per carità, è una tipologia di scrittura diversa – secondo me la ricerca perde sulla verità.

Antonello Venditti, l’hai citato tu stesso… Ma alla fine ci sei stato al concerto?

Ci son andato il 6 giugno. Il mio produttore esecutivo, colui che arrangia i brani, è il batterista di Antonello. Dopo “Per sentirsi meno soli” hanno fatto 5/6 concerti ai quali mi hanno sempre invitato, ma succedeva sempre qualcosa che mi impediva di andare. Antonello con me è sempre stato carinissimo, mi ha persino chiamato dieci minuti prima di salire sul palco dell’Ariston dicendomi “A CENTOTRENTÙ, stai tranquillo, mi raccomando”. Ci siamo rivisti e risentiti appunto il 6 giugno al concerto alle Terme di Caracalla. Finito il live vado a salutarlo nei camerini e lui, sempre con gli occhiali, circondato da De Gregori e altre diecimila persone, si abbassa gli occhiali e urla “ANVEDILO! A CENTOTRENTÙ!”. Antonello lo ringrazierò a vita, non è scontato che un artista così grande a un emergente possa fargli un regalo del genere: una parte del suo pezzo più importante, che per me non è più “Per sentirsi meno soli”, ma “Notte prima degli esami, fai qualcosa per sentirti meno solo”, rappresenta il bello della musica: la condivisione, il sostegno.

I nostri genitori hanno vissuto la canzone di Antonello Venditti in un determinato modo, la nostra generazione gli ha ridato vita con i film di Vaporidis, Faletti e tu con la tua versione hai contribuito…

Lo spero. Tra tantissime cose belle che mi sono successe, come Caramelle, Pupille, Sanremo… quello è il brano che a oggi mi rappresenta di più, quello più streammato come si dice oggi. La cosa più bella è essere consapevoli che non è quello che ho scritto io o PiazzaBologna in quel pezzo, è quello che rappresenta per i ragazzi. Noi volevamo creare una versione più moderna (anche se lo è più quella di Antonello che la mia), dando alle nuove generazioni un messaggio diverso. Il concetto del brano si basa sul perdere se stessi dopo la notte prima degli esami. Tutti abbiamo vissuto gli esami di Stato e c’è la consapevolezza di perdere le persone che frequenti, trasferirti, lasciare la tua famiglia. La nuova chiave del brano rappresenta questo.

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